Le basi della Coppa Acerbo risalgono nel 1923, quando a Castellammare Adriatico arrivarono da Roma le automobili che vi avrebbero partecipato per una gara di regolarità nel contesto della "Settimana Abruzzese"; furono infatti proprio queste le prove generali su un circuito che sarebbe poi passato alla storia. Un tracciato di circa 25 Km creato dal nulla, quasi dall'oggi al domani; Giacomo Acerbo, su suggerimento del Conte De Sterlich Aliprandi, ideò così la gara sportiva intitolandola al fratello Tito, eroe della prima guerra mondiale.
Si cominciò nel 1924, agli albori dello sport motoristico, proprio nel periodo in cui era iniziata l'evoluzione dell'automobilismo. L'Alfa Romeo aveva appena creato la famosa P2 e fu deciso, nel clan milanese, di sottoporre la nuova vettura al collaudo dei rettifili, delle salite e delle discese del nuovo circuito. Essa fu affidata a Campari, allora "numero uno" dei piloti in attività, e trovò nelle argentee Mercedes di Bonmartini e Masetti avversarie temibilissime. La P2 fu costretta a forzare ed il motore cedette, come del resto il mezzo di Masetti. Il successo arrise ad Enzo Ferrari, l'attuale "mago di Maranello", poi divenuto costruttore delle vetture contraddistinte dal "cavallino rampante" che tanti allori ha donato all'Italia suscitando l'ammirazione di tutto il mondo. Ferrari adottò una tattica di gara molto intelligente ed ebbe così l'onore di aprire il libro aureo di una manifestazione che, divenuta classica e tradizionale, doveva in seguito rivederlo in lizza in altre vesti.
Le due edizioni seguenti ebbero la medesima fisionomia, con due attori di primo piano che diedero vita a serrati ed entusiasmanti duelli e col trionfo del più furbo "terzo incomodo". Protagonisti maggiori della II Coppa Acerbo furono Brilli-Peri su Talbot e Materassi su Itala, chiamata "Italona" perché dotata di un motore d'aereo. Quando i due furono costretti al ritiro, passò al comando l'Alfa di Ginaldi che conservò tale posizione al traguardo riuscendo così a far legare anche un nome abruzzese (Ginaldi era di Sulmona) ad una fra le corse automobilistiche più importanti d'Europa. Lotta ai ferri corti l'anno dopo fra il solito Materassi e Ajmo Maggi: il primo fu appiedato da un guasto meccanico nel finale, il secondo poco dopo rimase vittima di foratura. Facile risultò dunque per il teramano Spinozzi condurre alla vittoria per la prima volta una macchina straniera - la Bugatti - senza più avversari che gli contrastassero il passo.
Dal 1927 ebbe inizio la fase di maggior fulgore della Coppa Acerbo: adesione di industria, partecipazione di piloti, bontà organizzativa, migliorie al tracciato fecero della ormai tradizionale corsa di Ferragosto una delle poche che nel mondo andassero per la maggiore, una di quelle più indicate e più attese per i confronti tra le forze nazionali e straniere. Fu il periodo della egemonia delle Alfa Romeo (le P2 - poi divenute P3 - avevano raggiunto il maximum di rendimento) che in sei anni s'impose cinque volte e di Campari che nel giro di quattro edizioni realizzò una tripletta, prodezza restata unica. "Beppone" fece gara a sè nel 1927 e mantenne a distanza ogni concorrente fino all'ultimo, malgrado la strenua resistenza opposta dai vari Materassi, Borzacchini Brilli-Peri, De Sterlich. L'anno dopo il bis di Campari fu più contrastato. Alla partenza si allinearono infatti per rendere vita dura alle Alfa la Bugatti con Nuvolari, Varzi e Brilli-Peri, la Maserati con Fagioli e Marano, la Talbot con Materassi. Appunto quest'ultimo impegnò a fondo Campari contro il quale però non ci fu nulla da fare, se non accontentarsi del posto d'onore dopo esserne stato l'ombra per i primi cinque giri per poi sparire a seguito di guasto meccanico e tornare nella scia del battistrada in virtù di una spettacolosa rimonta.
Seguì la sosta di un anno per dar modo di sistemare definitivamente la rete stradale. La sesta edizione fu dunque disputata nel 1930 e se l'aggiudicò Varzi su Maserati, primo successo della marca del "tridente" a Pescara, per di più con una media record dipesa però anche dai miglioramenti del fondo stradale. La gara fu caratterizzata da una serrata disputa fra Nuvolari, Fagioli e Arcangeli, disputa che ad un certo momento fiaccò l'andatura delle macchine. Allora si profilò la minaccia di Varzi, lo stilista perfetto fra i più grandi campioni, il quale aveva attuato una tattica piuttosto prudenziale seppure a ritmo sostenuto: il suo rosso bolide piombò come un falco al penultimo giro sui più avventurosi ed il lauro del trionfo fu suo. Nell'annata successiva tornò alla ribalta Campari che contrariamente al solito non diede battaglia sin dall'inizio. Egli assunse la terza posizione nella scia della coppia Nuvolari-Varzi (l'uno notoriamente spericolato e temerario, l'altro freddo calcolatore). Campari attese che i due rivali accusassero le conseguenze del ritmo troppo veloce impresso alle loro vetture, quindi prese la testa ed il "tris" fu cosa fatta.
Nel 1932 finalmente il "Nivola" della leggenda, l'asso audacissimo che maggiormente avvinceva il pubblico, coronò il sogno di vedersi includere nel libro d'oro della competizione che diceva di prediligere. La meritatissima affermazione del "mantovano volante" fu più significativa in quanto proprio quell'anno l'industria straniera, in specie Mercedes e Bugatti, calò in forze a Pescara. Il lotto di piloti fu nutritissimo e comprendeva oltre a Nuvolari. Caracciola, Von Brautichsch, Fagioli, Chiron, Taruffi, Broschek, Howe, Borzacchini, Brivio ecc. Ne sortì una gara elettrizzante che per ore e ore trattenne in piedi la strabocchevole folla. Caracciola fuggì in partenza tallonato da Nuvolari. Quando questi attaccò a fondo sembrava letteralmente scatenato e conquistò insieme al successo i nuovi record, di cui quello sul giro ha resistito un quarto di secolo. Indietro anche Fagioli dava spettacolo, completando il trionfo dell'industria italiana.
La nona edizione rimase ugualmente memorabile. Grande ed avvincente duello Nuvolari-Campari per i primi nove giri, fino a quando cioè - preludio della tragica fine che l'attendeva a Monza - il valoroso Campari andò fuori strada uscendo incolume. Da quel momento Nivola apparì sicuro vincitore per la seconda volta consecutiva della Coppa Acerbo ma all'ultimo giro, fatto non certo nuovo, si ebbe un clamoroso colpo di scena: il mantovano fu costretto a fermarsi ai box per noie accusate dalla sua Maserati e l'Alfa di Fagioli, il quale aveva mantenuto un'andatura più regolare e tuttavia velocissima, ebbe per pochissimo la meglio, precedendo lo sfortunato Nuvolari, Taruffi e Varzi. Luigi Fagioli, un altro "malato" del Circuito di Pescara, realizzò il bis in occasione del decennale ma con una macchina tedesca, vale a dire di una nazione che predominò da allora per un lustro. Il bravissimo campione marchigiano s'impose con la Mercedes nuovo tipo. Fu una edizione drammatica quella del 1934: per i primi giri condusse Caracciola che era al volante della stessa Macchina di Fagioli, seguito da Varzi su Alfa Romeo, da Von Stuch su Auto Union e Nuvolari su Maserati. Varzi e Nuvolari (oltre a Stuch) furono tagliati fuori per noie meccaniche dalla disputa per il primo posto ed il solo giovanissimo asso algerino Moll rimase a competere con l'agguerrito schieramento germanico. Il sorprendente e meraviglioso francese approfittando della sosta degli argentei bolidi di Caracciola e Fagioli balzò al comando della corsa (dopo un vertiginoso inseguimento reso necessario dalla rottura dei freni) suscitando l'entusiasmo degli spettatori. Poi però anch'egli dovette rifornirsi e mentre stava attuando la nuova rincorsa perse la vita: la fatalità lo colpì alla diciassettesima tornata provocando una vera ondata di costernazione tra il pubblico che lo aveva appena eletto proprio beniamino. L'ultima prodezza di Moll era stata costituita dal giro più veloce, nell'ultimo estremo slancio della sua breve giovinezza.
Pescara suonò quell'anno un vero e proprio campanello d'allarme per l'industria nazionale che dovette in seguito subire la superiorità delle più potenti e perfette macchine tedesche. Si sarebbe dovuto correre immediatamente ai ripari, mentre invece non si dimostrò tanta solerzia (forse in seguito alla situazione politica internazionale sempre più tesa) e i germanici ebbero virtualmente campo libero fino alla interruzione della loro attività a causa della guerra quando però l'Alfa Romeo aveva già creato il nuovo bolide che, cessate le ostilità dettò legge in Europa.
Allo scopo di rallentare l'andatura dei bolidi Mercedes a Auto Union nei tratti più veloci gli organizzatori istituirono sul Circuito di Pescara tre "chicanes", le quali ad onor del vero furono suggerite anche dalla opportunità di concedere un po' di raffreddamento alle gomme, quindi per adottare delle misure di sicurezza dato che a Tripoli si erano verificati dei seri inconvenienti. L'Auto Union incluse Achille Varzi nella sua équipe ufficiale e vide giusto: appunto il biellese si affermò nel 1935 al termine di un'autentica galoppata compiuta al ritmo dei 139 orari.
La Casa dell'ing. Porsche si ripetè nei due anni successivi grazie a Rosemeyer, altro giovane campione da poco balzato in forte evidenza, tanto da meritare l'inclusione del ristretto novero degli assi d'ogni tempo. Nuvolari cercò sempre di compiere il miracolo ma più di guidare soltanto per alcuni giri non poteva. Il tedesco sapeva questo e dopo aver fatto sbizzarrire l'indiavolato ed irrequieto Tazio proseguiva la corsa da solo: nel 1936 girò alla media generale di 139 e 400; l'anno seguente ad oltre 141, record assoluto, con chicanes, resistito fino al '57. Quindi fu la volta della Mercedes a tornare a prevalere nella corsa di Ferragosto, ma l'andamento fu diverso dagli anni precedenti. La Maserati si presentò con un nuovo motore da 3 mila affidato prima a Trossi e poi a Gigi Villoresi, il quale aveva appena vinto la gara delle piccole cilindrate. A metà percorso il pilota-rivelazione si era portato a ridosso del bolide di Stoccarda al cui volante si trovava un campione consumato come Caracciola. La spettacolosa marcia del giovane Gigi fu però troncata nel momento più emozionante da un banale guasto al carburatore e a lui non rimase che la soddisfazione del giro più veloce, mentre Caracciola finì per vincere con facilità. Villoresi e la Maserati avevano lanciato il grido di battaglia o meglio della riscossa ai tedeschi, ed infatti, a Pescara erano in corsa anche le "Alfette" macchine in grado di far fuori, una volta a punto, i bolidi d'oltre confine. Le Alfa 158, questa la sigla dell'Alfetta, erano presenti a Pescara nel 1939, quindicesima edizione della corsa (ultima della Coppa Acerbo). Ma la loro fu più che altro una semplice esibizione collaudativa giacché gli eventi bellici incalzavano e la Germania si era ritirata dall'attività agonistica. Vinse Biondetti dopo che Farina aveva condotto a lungo, con una media superiore a quella che aveva fatto registrare Caracciola l'anno avanti: sintomo attendibile della efficienza delle Alfette, annuncio del ritorno dei bolidi rossi nazionali in primissimo piano.
La sospensione per la guerra durò sette anni durante i quali i pescaresi, ed anche gli appassionati di tutta Italia che erano soliti recarsi nella sempre più bella e grande città dannunziana per trascorrervi il Ferragosto, ammalarono di nostalgia. Sentivano come se una cosa importante, quasi vitale, mancasse loro ed ecco che malgrado le ferite ancora vive provocate dalla guerra si stabilì di non protrarre l'attesa oltre il 1946. La sedicesima edizione si disputò pertanto nel 1947, con la cancellazione del nome "Coppa Acerbo" per ragioni di opportunità politica. La gara, forzatamente in tono minore per i tempi che correvano ed anche per il nuovo ordinamento internazionale nonché per l'inflazione delle corse automobilistiche. Molti ostacoli insomma trovò Pescara davanti a sé quando volle riprendere la sua invidiata, affermatissima tradizione. Ad ogni modo si ricominciò, questo era per allora essenziale. La formula fu quella sport e la vittoria arrise alla Fiat 1100 di Auricchio perché la Delage di Bracco dopo aver condotto sin quasi al termine dovette fermarsi lungo il circuito per mancanza di carburante e la Ferrari di Cortese, sacrificata da una sosta di oltre venti minuti non potè classificarsi che al posto d'onore.
Ad una bella gara si assistè nel 1948, retta anch'essa dalla formula sport internazionale. Lottarono strenuamente ruota a ruota per diversi giri Sommer, il quale era stato convocato da Ferrari d'urgenza per sostituire l'irriducibile Nuvolari che durante le prove si era sentito male, e la Maserati di Villoresi. La meglio l'ebbe Alberto Ascari, corridore di razza che era agli inizi di una luminosa seppur breve carriera conclusa sulla pista di Monza in un pomeriggio tragico. Il figliolo del grande Antonio trionfò con la Maserati 2000 che in partenza era stata affidata a Bracco, dopo che il suo mezzo era stato messo fuori causa.
La diciottesima edizione allineò alla partenza una mezza centuria di macchine sport suddivise nelle diverse classi. Un elemento imprevisto fu determinante ai fini del verdetto: la pioggia che imperversò come un diluvio sui malcapitati concorrenti e sugli spettatori che frettolosamente si rifugiarono nelle case e sotto le tende improvvisate. Le "barchette" risultarono di conseguenza handicappate nei confronti delle "berline" e nonostante il generoso prodigarsi di Biondetti, l'uomo delle Mille Miglia, Franco Rol che pilotava un'Alfa Romeo chiusa, potè assaporare la gioia d'un successo clamoroso precedendo le Ferrari di Vallone e di Biondetti che fu attardato da noie all'accensione.
Il desiderio di tornare ai fasti gloriosi di un passato mai dimenticato portò nel 1950 al ripristino dei bolidi maggiori, ora denominati di "formula uno". Aderirono però le Alfa Romeo e non le Ferrari, cosicché venne a mancare la lotta ed il pubblico rimase alquanto deluso. Si lottò in famiglia fra Fagioli e Fangio, con le francesi Talbot nel ruolo di inseguitrici. Il marchigiano pareva destinato ad eguagliare il record di Campari ma ciò fu impedito in extremis da un guasto alla ruota anteriore destra di Fagioli: Fangio, intravista la minaccia dell'azzurra macchina di Rosier, fu indotto a piantare in asso il compagno e a tagliare per primo il traguardo, dopo avere stabilito il giro più veloce alla media di 145,671 e la più elevata velocità sul chilometro lanciato (310,344 all'ora).
Nella ventesima edizione si mantenne la formula uno, ma ci si convinse definitivamente che Pescara era stata messa in disparte per via dell'adozione del campionato mondiale che richiedeva alle Case particolare cura. Accadde così che parteciparono delle più quotate le sole Ferrari e che ben presto, peraltro, delle tre vetture di Maranello rimase in lizza unicamente quella di Gonzales dato che Ascari e Villoresi rimasero appiedati entrambi, alle primissime battute: l'argentino trovò il ritmo giusto e la sua affermazione non fu mai messa in dubbio dalle Talbot di Chiron e Rosier. Il giorno avanti si era svolta una gara sport sulla distanza delle sei ore, gara che vide vittorioso Bracco su Aurelia alla rispettabile media di oltre 122 all'ora. La buona riuscita di questa "anteprima" suggerì agli organizzatori il ritorno alla formula Sport ed infatti nel 1952 fu nuovamente indetta una competizione di durata estendendola però alle 12 ore. Trionfarono Bracco e Marzotto su Ferrari che presero il comando sin dalla partenza avvantaggiandosi gradualmente su tutte le coppie concorrenti. Il 15 agosto successivo una sessantina di vetture, schierate a spina di pesce tipo Le Mans, presero la partenza. Le preferenze andavano ai piloti del Cavallino Rampante ed infatti benché Bracco-Marzotto e Villoresi dovettero abbandonare, Maglioli e Hawthorn non corsero alcun pericolo e raccolsero gli applausi del pubblico dopo una lunga galoppata compiuta all'incirca alla stessa media ottenuta in precedenza da Bracco e Marzotto.
Si polemizzò parecchio nel 1954 prima di decidere in merito alla formula da adottare. Bolidi di formula uno o di formula sport? La situazione, per lo meno per quanto riguardava Pescara, non era florida in nessuno dei due settori. Il dilemma si risolve alla fine in favore dei sostenitori della velocità pura. Tutti gli sforzi erano stati concentrati per mettere su un duello tra Maserati e Ferrari, ma all'ultimo momento esso venne a mancare perché Maglioli, al quale era stato affidato uno "squalo" sperimentale della Casa di Maranello, dovette correre al capezzale della madre moribonda. Per colmo di sfortuna Moss (che durante le prove aveva battuto il record assoluto sul giro ancora tenuto da Nuvolari) e Manzon, venuti a collisione furono costretti al ritiro e di conseguenza il lotto dei concorrenti fu ridotto a ben misera cosa: Bira, in giornata di eccezionale vena, assunse il ruolo di battistrada e lo mantenne fino a quando non dovette fermarsi ai box. Da quel momento passava in testa il romano Musso che non si lasciava più sfuggire l'occasione per conseguire, con la sua Maserati, un'affermazione nonostante tutto ancora di grido.
Nel 1955 la psicosi di Le Mans si ripercosse anche sul G. P. Pescara e la ventiquattresima edizione fu rinviata all'anno successivo con l'adozione di un tipo di corsa indovinato, basato sulla formula sport fino a 2.000 con sottoclasse fino a 1500. Ufficialmente si iscrisse la sola Maserati con Behra pilota di spicco. Questi però dopo avere condotto per due terzi scomparve dalla scena ed allora si accese una lotta serratissima ed incerta fino agli ultimi cento metri Tre macchine - la Ferrari di Cortese, la Maserati di Taruffi e la Gordini di Manzon - transitarono nel giro di pochissimi secondi sotto le tribune al compimento del penultimo giro. A Cappelle era primo Cortese, a Montesilvano guidava Taruffi. Quando le macchine sbucarono dalla curva della variante la Maserati del romano era ancora prima, seguita ad un passo dall'azzurra Gordini di Manzon. Il francese fu più scaltro in curva, guadagnò qualche metro e si lanciò in uno sprint formidabile di fronte al quale Taruffi, provato dal caldo e dalla fatica, non seppe reagire. Il primato nella classe inferiore fu appannaggio di Villoresi, ormai anziano e alla fine della carriera, ma sempre in gamba.
Lo spunto per celebrare in maniera degna le nozze d'argento fu offerto dalla rinuncia di una nazione europea ad organizzare la penultima prova del campionato mondiale conduttori 1957. Pescara si fece avanti quasi timidamente ma con immenso entusiasmo e, in virtù delle sue benemerenze passate, fu accontentata. La fiducia non fu tradita perché si diede prova di eccezionali capacità organizzative pur nelle difficoltà dei tempi. Trionfò la Vanwall di Moss davanti alla Maserati di Fangio che col secondo posto si assicurò il titolo iridato. Tutti i primati furono largamente battuti, a dimostrazione dei sensibili progressi tecnici compiuti dall'automobilismo sportivo negli ultimi tempi.
Dopo due anni di forzata interruzione (motivi economici), si tornò a correre sul Circuito di Pescara nel 1960 per la XXVI edizione del G.P. Pescara. La scelta degli organizzatori, che cercavano di rinverdire i gloriosi fasti dell'anteguerra, si orientò verso una gara per monoposto di Formula Junior, la sola che poteva garantire una corsa entusiasmante con un buon lotto di concorrenti e di macchine, in campo italiano ed europeo. Dei 63 iscritti, presero il via nelle due batterie in 54. Fra questi: Bandini, Pirocchi, Grandsire e Bordeu con le Fiat-Stanguellini 5 marce; Colin Davis, Scarfiotti e Rigamonti con le Osca; Lippi, Farandola ed Ada Pace con le De Sanctis; Bianco, l'americano Stepherd Barron e lo stesso costruttore con Taraschi; De Tomaso con una sua macchina; Denis Hulme con Cooper BMC. Fu proprio quest'ultimo, in una entusiasmante gara finale di sette giri, pari a 179,053 Km, a prevalere su Colin Davis che lo aveva preceduto per sei giri. Al settimo giro, infatti, Davis fece mirabilie per mantenere il distacco sul rivale, ma una curva presa troppo forte gli causò un'irrimediabile uscita di strada, favorendo l'arrivo vittorioso di Hulme.
Con il XXVII G.P. Pescara, nel 1961, si concluse in riva all'Adriatico il Campionato Mondiale Marche per vetture Sport, che con la vittoria della coppia Bandini-Scarlatti, andò alla Ferrari e fu, anche, l'ultimo atto di una bella storia iniziata nel 1924 con la vittoria di un semisconosciuto Ferrari. Purtroppo, dopo il 1961 a Pescara si dissipò un immenso e bellissimo capitale d'immagine e di sport, ma la classica corsa di Ferragosto rimarrà nel cuore dei pescaresi e negli annali di storia dell'automobilismo sportivo.